uffa che rottura

di Emanuela Nava

Buongiorno, mi chiamo Francesco.
Sabato, il signor Bado, mio padre, si è svegliato a pezzi.
Ha cercato di allungare la mano sinistra verso la lampada del comodino nel tentativo di accendere la luce, ma ha avvertito che il braccio non rispondeva al suo comando. Allora ha provato ad allungare le gambe: voleva stiracchiarsi, sedersi sul letto, scattare in piedi, eseguire qualche piccolo ma efficace saltello. Nella sua mente custodisce un intero programma di ginnastica dolce da svolgere appena sveglio: flessioni, piegamenti, torsioni. Ha fatto un nuovo sforzo, ma invano. Le gambe non rispondevano. Così ha volto lo sguardo verso il cassettone in fondo alla stanza. Anche in penombra vedeva bene la fotografia di Ottavia bella e sorridente, ritratta con un abito di seta rosa a fiori. Chissà perché lo aveva lasciato? «Francesco!»
La voce non era incrinata.
Ma io dormivo e non sentivo. E avrei dormito tutta la mattina se nessuno fosse venuto a scuotermi, a spalancare le persiane, a ricordami che, anche di sabato, non c’è nessun motivo per rintanarsi sotto le coperte come una serpe in letargo.
Non ho alcuna predilezione per la ginnastica mattutina. Ma il signor Bado, mio padre, mi ripete tante volte che i semplici esercizi del buon risveglio preservano da malattie disgustose come la gengivite purulenta, il mal di milza, l’ascesso al fegato, la deformazione ossea, il crepacuore, l’artrite agli alluci.
Ci tiene così tanto alla salute, il signor Bado, che desidera che anche io segua con rispetto e devozione i consigli che mi dà. Soprattutto da quando la mamma se n’è andata e l’educazione è tutta nelle sue mani.
Ma all’improvviso mi sono svegliato da solo: lui deve avere udito i miei passi e poi la porta del bagno che si apriva.
«Francesco!»
«Che succede?»
«Sono a pezzi».
«Ancora?»
«Sì, anche questa volta mi sono proprio rotto!» ha aggiunto il signor Bado, mio padre.

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