Buongiorno, mi chiamo Francesco.
Sabato, il signor Bado, mio padre, si è svegliato
a pezzi.
Ha cercato di allungare la mano sinistra verso la
lampada del comodino nel tentativo di accendere
la luce, ma ha avvertito che il braccio non rispondeva
al suo comando. Allora ha provato ad allungare
le gambe: voleva stiracchiarsi, sedersi sul letto,
scattare in piedi, eseguire qualche piccolo ma
efficace saltello. Nella sua mente custodisce un
intero programma di ginnastica dolce da svolgere
appena sveglio: flessioni, piegamenti, torsioni.
Ha fatto un nuovo sforzo, ma invano. Le
gambe non rispondevano. Così ha volto lo
sguardo verso il cassettone in fondo alla stanza.
Anche in penombra vedeva bene la fotografia di
Ottavia bella e sorridente, ritratta con un abito
di seta rosa a fiori. Chissà perché lo aveva lasciato?
«Francesco!»
La voce non era incrinata.
Ma io dormivo e non sentivo. E avrei dormito
tutta la mattina se nessuno fosse venuto a scuotermi,
a spalancare le persiane, a ricordami che,
anche di sabato, non c’è nessun motivo per rintanarsi
sotto le coperte come una serpe in letargo.
Non ho alcuna predilezione per la ginnastica
mattutina. Ma il signor Bado, mio padre, mi ripete
tante volte che i semplici esercizi del buon
risveglio preservano da malattie disgustose come
la gengivite purulenta, il mal di milza, l’ascesso
al fegato, la deformazione ossea, il crepacuore,
l’artrite agli alluci.
Ci tiene così tanto alla salute, il signor Bado,
che desidera che anche io segua con rispetto e
devozione i consigli che mi dà. Soprattutto da
quando la mamma se n’è andata e l’educazione
è tutta nelle sue mani.
Ma all’improvviso mi sono svegliato da solo: lui
deve avere udito i miei passi e poi la porta del
bagno che si apriva.
«Francesco!»
«Che succede?»
«Sono a pezzi».
«Ancora?»
«Sì, anche questa volta mi sono proprio rotto!»
ha aggiunto il signor Bado, mio padre.
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