Io e mercurio

di Emanuela Nava

Avevo undici anni quando conobbi Mercurio, il messaggero degli Dei. Scese dal cielo per regalarmi verità, bontà e bellezza. Lo fece lentamente, mettendomi alla prova con molte insidie. Allora i messaggi venivano inviati solo per posta: lettere e cartoline che rotolavano da un capo all’altro del mondo. Mercurio, velenoso e curativo, volatile e inafferrabile, era il nostro postino. Fu lui a insegnarmi a vedere l’invisibile. Ma questo accadde molto dopo. La nostra storia inizia un giorno di marzo di tanti anni fa. A quei tempi i termometri contenevano il mercurio. Oggi il mercurio è fuori commercio, troppo velenoso, se viene inspirato, ma allora la febbre veniva misurata osservando la variazione del metallo dentro un tubo di vetro chiuso. Il metallo con cui si misurava la febbre ha lo stesso nome del dio Mercurio, figlio di Giove, messaggero degli dei, dio dei sogni e delle invenzioni. Mi sono sempre piaciuti i miti. Sono i miti che ci mostrano i fili che ingarbugliano la nostra vita. Furbo e potente, il dio Mercurio era anche il dio degli inganni. Quando il termometro mi scivolò dalle mani e cadde a terra, le palline di mercurio rotolarono sul pavimento di legno come argento vivo. La mamma, comparsa all’improvviso sulla porta della stanza, disse che nella camera c’era abbastanza mercurio per morire avvelenati: respirarlo sarebbe stato causa delle più spaventose tragedie. E senza nessun indugio e con furore improvviso, aprì la finestra per cambiare aria, nonostante io fossi a letto con quasi trentanove di febbre. Fu solo dopo avere cercato di domare l’inquietudine, correndo avanti e indietro per tutte le stanze della casa, e avere finalmente trovato su un ripiano polveroso della libreria un libro che illustrava come difendersi dagli incidenti domestici, che mia madre raccolse le palline facendole scivolare su un foglio di carta, che poi ripiegò con molta attenzione e chiuse dentro un sacchetto. – Porto il mercurio in farmacia!– gridò, sbattendo con furia la porta di casa. Restai sola con la febbre alta e la finestra spalancata. Non avevo niente di più di un’influenza, ma la testa mi faceva molto male, pulsava, e nelle orecchie avvertivo i più fastidiosi ronzii, fruscii, scricchiolii, che si potessero udire. Non passò molto tempo prima che tutto accadesse. Quando mi convinsi di essere fuori pericolo e ormai lontana da ogni vapore mercuriale, chiusi gli occhi per riposare. Forse fu il vento freddo che mi fece rintanare sotto le coperte, forse fu il suo bastone che produsse in me un dolce torpore, ma a un tratto sentii la testa più leggera e tra i brusii che piano piano scemavano, lo vidi. Era un ragazzo: indossava sandali con due piccole ali ai lati, un cappello a falda larga e in mano stringeva un bastone di legno, attorno a cui erano intrecciate due serpi d’oro. – Il bastone magico che fa addormentare – mi disse con un sorriso cordiale. – Chi sei? – chiesi. – Sono Mercurio – rispose. – Mercurio?! – domandai incredula. – Sì, non mi riconosci? Restai in silenzio per alcuni istanti. A terra, sul pavimento accanto al mio letto c’era ancora qualche scheggia di vetro del termometro andato in frantumi, ma nessuna traccia del metallo di cui lui diceva di condividere il nome.

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